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Diario di Enzo     - pagina 2 -

Roma 1930

La mia infanzia (5 anni). Sembra che verso i cinque anni, fossi giudicato piuttosto gracilino, per cui qualcuno suggerì ai miei di portarmi a trascorrere un periodo di vacanza fuori della città a contatto con la natura.

 

Per ovvi motivi (leggi scarsi mezzi finanziari) come luogo di cura e di villeggiatura fu scelto il paese di origine della famiglia di mia madre e cioè Alfedena. Di quel periodo ho nella mente tanti flash, tutti straordinariamente nitidi e piacevolissimi da ricordare.

 

Vedo me sul monte, con un altro ragazzino poco più grande, soli a badare a tre vaccarelle con le campanella al collo, giocando e ridendo felici fra gli aspri sassi e le rade piante … E i cavalli con le zampe anteriori impastoiate che pascolavano, spostandosi saltellando in modo buffo e innaturale …

 

E il fortissimo acquazzone che una volta ci investì mentre con l’amico del momento eravamo attenti ai cavalli, e il papà di questo che venne a prenderci e riportarci a casa con il mulo. E, un’altra volta, mentre veniva giù un altro violento temporale estivo con tuoni e fulmini, riuscii a rifugiarmi dentro un capanno dove trovai a ripararsi anche un giovane che a me, impaurito, spiegò con calma e semplicità cosa originava i lampi e cosa i tuoni e, soprattutto, che il rumore di questi non era assolutamente da temere. E da quella volta li non ho avuto più paura delle rumorose manifestazioni del cielo.

 

Rammento il dormire in quattro in un lettone con sacconi che fungevano da materassi, pieni di foglie secche di granturco che scrocchiavano ad ogni girarsi. Tre donne da capo: mamma, sua zia e la figlia e, in fondo, io con i piedi sulla faccia da qualunque parte mi volgessi.

 

Peripezie dell'infanzia (12 anni). La vita a contatto con la natura mi è sempre piaciuta, ma anche la città, almeno come era allora, non mi dispiaceva affatto. Quindi, quando potevo, prendevo il tram e me ne andavo a girovagare a villa Borghese, di cui ormai conoscevo ogni angolo. Giravo quasi sempre con in tasca (dove avevo di tutto) una bella fionda ad elastici che mi ero costruito da solo.

 

Fu così che una mattina, a villa Borghese, vedendo un merlo posato sulla cima di un lampione, non ci pensai due volte a tirargli un colpo. Malauguratamente il proiettile colpì il vetro del lampione che scrosciò a terra. Il rumore attirò l’attenzione di due “madame” dei giardini, in vigilanza nei pressi. Le feci correre un bel po’, ma alla fine mi acchiapparono. Erano circa le 11.

 

Fui condotto al posto di guardia e qui sottoposto ad interrogatorio. Non avendo documenti appresso e convinto di essere subito rilasciato, diedi le generalità di un mio amico che abitava vicino a piazza Vittorio.

 

Con mia sorpresa, mi fecero entrare in una stanzetta e lì mi lasciarono. Dopo un’ora circa, un vigile, accaldato e irritato venne dentro a dirmi che all’indirizzo che avevo dato esisteva sì un ragazzo della mia età corrispondente al nome che avevo fornito, ma che questo (maledizione!) era a tavola con i suoi a mangiare!

 

Intimorito, stavolta diedi nome ed indirizzo esatti; ma, al sentire che abitavo a Centocelle, il vigile che già in bicicletta aveva fatto il primo controllo e a cui toccava anche il secondo, rosso in viso dalla rabbia, mi giurò che se anche questa volta avevo mentito, mi avrebbe gonfiato di schiaffi.

 

Erano le 15 quando la guardia tornò. E mentre mi facevano uscire sentii che diceva, col fiato corto: ”Pensate che l’unica cosa che la madre mi ha raccomandato è di dire al figlio di tornare presto a casa perché senno la minestra si raffredda!…”

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